Narrativa recensioni

Il filo scarlatto – Laurie Lico Albanese

Recensione a cura di Valeria Lorusso

Questo romanzo è un omaggio dell’autrice a La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne e, soprattutto, a Hester Prynne che ne è la protagonista.

La storia si svolge a Salem nei primi anni dell’Ottocento e vede come protagonista Isobel Gamble, abile con l’ago, che a causa dei debiti del marito contratti perché oppiomane, è costretta a lasciare Edimburgo insieme a lui per il Nuovo Mondo e la speranza di una vita migliore e luminosa.

Si stabiliscono a Salem, ma pochi giorni dopo l’arrivo Edward Gamble s’imbarca su una nave convinto di poter acquistare preparati che gli serviranno  per la sua professione, lasciando la moglie senza soldi e costretta a lavorare per mantenersi.

Isobel sin dal suo arrivo a Salem rimane affascinata dal giovane Nathaniel Hathorne e dalla sua aria svagata, dal suo essere sempre concentrato sulla scrittura come realizzazione di se stesso e affrancamento dal passato della sua famiglia.

Isobel è una brava sarta e una fine ricamatrice, possiede una caratteristica particolare, vede le lettere associate ai colori, dal rosso della A al blu della B, ma anche i suoni evocano colori, forme e sensazioni tattili. Questa particolarità la nasconde per paura di essere considerata una strega come la sua antenata condannata a morte nel 1600.

“– Tanto tempo fa, nelle Highlands vicino a Loc Katrina, la tua antenata Isobel Gowdie aveva i colori, come te, – mi disse. – […]
Mamma mi disse che Isobel Gowdie parlava liberamente dei suoi colori alle persone a cui voleva bene. Finché il villaggio era ricco, lei faceva nascere i bambini e aiutava i malati con i suoi unguenti, il signore del villaggio era contento.
– Lei non pensava che i suoi colori fossero malvagi, e non aveva paura dei lacci del diavolo. Ma un anno, quando il raccolto andò male e le mucche morirono, accusarono lei, – disse la mamma. – Andarono a casa sua con le torce e i forconi, chiamandola strega”.

Grazie alla sua bravura con l’ago in poco tempo Isobel riesce a trovare un lavoro e a conoscere più da vicino Nathaniel Hathorne fino a quando l’attrazione tra i due non si trasformerà in una relazione che porterà a delle conseguenze che cambieranno la vita di Isobel radicalmente.

“Al suono del suo passo, apro la porta prima che possa bussare. Ha le guance rosse per la camminata o per una forte emozione, e questo rende i suoi occhi piú luminosi. Per l’agitazione lo ringrazio in fretta del libro mentre lui appende la giacca a una sedia. Con un solo movimento attraversa la stanza, mi mette una mano dietro la testa e la fa scorrere tra i miei capelli per tutta la lunghezza. Gli s’impiglia il dito in un nodo e sento un’esplosione di dolore arancione brillante. Grido e il desiderio gli lampeggia in viso.
Con uno strattone ai capelli, mi tira indietro la testa.
– Fammi vedere, – sussurra, con voce rossa e ruvida come una lingua. – Mostrami quel tuo caratteraccio.
Gli affondo le unghie nella spalla e sento odore di sangue. Mi mette una mano sulla bocca, mi
spinge sul letto. I suoi occhi si incatenano ai miei: una sfida, una sfida, una sfida. Dolore e piacere, silenzioso e selvaggio, gentile e insistente”.

Il fenomeno dei colori che Isobel vede è chiamato Sinestesia e interessa meno del dieci per cento della popolazione mondiale. Chi è interessato dalla sinestesia spesso ha risposte sensoriali multiple nonostante uno dei sensi venga stimolato. Questo fa capire perché chi li possedeva era considerato strano, inquietante e se ne soffriva una donna si può immaginare quale fosse l’appellativo ricorrente.

Non mancano in questo romanzo i paralleli tra l’antenata Isobel Growdie e la protagonita così come tra Nathaniel Hathorne e il suo antenato John Hathorne che fu colui che condannò a morte le povere donne di Salem definite streghe a causa delle maldicenze, della superstizione, delle invidie e delle gelosie. Le parti ambientate nel 600 servono per far comprendere il clima che si respirava a Salem e il senso di colpa che Nathaniel Hathorne si porta addosso a causa della crudeltà del suo antenato.

Salem si trova in uno stato del nord in cui sulla carta la schiavitù era stata abolita, ciò non impediva ai cacciatori di schiavi di rapire neri liberi per venderli come schiavi nel sud così come molti schiavi fuggiti dalle piantagioni intraprendevano la Ferrovia Sotterranea, una rete di percorsi e luoghi segreti utilizzati per fuggire al nord o in Canada grazie agli uomini e alle donne che li aiutavano a raggiungere questi posti. I temi della schiavitù e del razzismo ben s’intersecano con le vicende di Isobel.

“– Gli schiavi fuggono a nord per la libertà che meritano come figli di Dio, – dice, in tono gentile. – Ma la legge consente ancora ai proprietari delle piantagioni di seguirli e riportarli indietro in catene. Quando succede, per loro va sempre peggio: li picchiano, a volte gli tagliano la lingua o li vendono piú a sud, dove la frusta è piú feroce e la fuga quasi impossibile”.

Il romanzo è ricco di colori che dominano la scena grazie alla descrizione degli splendidi ricami prodotti da Isobel, e che sembra di vedere con i propri occhi per come appaiono vividi e reali.

Con questo romanzo la Albanese ipotizza gli avvenimenti che portarono alla  genesi de La lettera scarlatta immortalando una figura femminile che ben si sovrappone a Hester Prynne.

PRO

la notevole capacità descrittiva della Albanese

CONTRO

 la parte del Seicento di Salem risulta slegata da quella ambientata nel 1829.

SINOSSI

Isobel ha il dono di «vedere» i colori: la voce della madre è un torrente di zaffiro screziato di smeraldo, quella del padre un morbido caramello e la lettera «A» è scarlatta, da sempre. Crescendo, Isobel impara a domare il suo talento per creare ricami straordinari. E quando si trasferisce a Salem, nel Nuovo Mondo, insieme a un marito con il vizio dell’oppio, e incontra un affascinante e tormentato giovane scrittore di nome Nathaniel, l’ago diventa la sua risorsa più preziosa. Con strepitosa inventiva Laurie Lico Albanese ci regala il ritratto della musa immaginaria che avrebbe ispirato a Hawthorne la protagonista di “La lettera scarlatta”. Isobel e Nat s’incontrano a Salem nel 1829, più di un secolo dopo i famosi processi alle streghe di cui fu teatro la cittadina. Eppure, sotto la superficie di florida compostezza di quel piccolo porto sull’oceano, serpeggiano ancora le tensioni tra i discendenti di accusatori e accusate. Isobel, dal canto suo, ha i capelli rossi proprio come la trisavola Isobel Gowdie, condannata per stregoneria in Scozia nel Seicento e sfuggita per un soffio all’impiccagione. E proprio come lei, vede esplosioni di colore là dove gli altri sentono solo parole o leggono le nere lettere dell’alfabeto. La madre, che le ha insegnato l’arte del ricamo, le ha sempre detto di non parlare del suo dono dei colori con nessuno, per non destare sospetti, e piano piano Isobel capisce che forse il suo era un invito più generale alla cautela. Quando lei e Nat s’incontrano, entrambi combattuti tra segreti e aspirazioni, le parole del giovane scrittore le appaiono di un regale rosso e oro, un richiamo potentissimo, soprattutto dopo che il marito si è imbarcato per andare in cerca dell’elisir di lunga vita. Costretta a cavarsela da sola, a fidarsi unicamente del suo ago, Isobel dovrà fare i conti con la rigida società di Salem, dove non tutti sono considerati americani alla stessa stregua. Ad aprirle definitivamente gli occhi su questo punto sarà la sua vicina Mercy, figlia di una schiava liberata. Nell’immaginare un retroscena fittizio per “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne, Laurie Lico Albanese tesse un grande e compiuto arazzo della società americana di inizio Ottocento, mettendo però al centro le donne, con la loro solidarietà e forza creativa.

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