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Le interviste di TSD: Carlo Cavazzuti

Carlo Cavazzuti nasce a Mirandola, in provincia di Modena, nel 1983.
Si diploma come perito chimico industriale presso l’I.T.I.P. Enrico Fermi di Modena e di seguito si laurea in biologia ed ecologia marina presso l’università di Messina.
Dopo essersi dedicato per diverso tempo alla fotografia, ricevendo premi a livello nazionale e internazionale, si diploma come direttore della fotografia e montatore presso l’Accademia Nazionale del Cinema e, due anni dopo, consegue il master di primo livello “Autore per il cinema, web e TV”.
È inoltre maestro nazionale di scherma storica, direttore di gara e arbitro internazionale per la scherma storica, regionale per le discipline olimpiche, nonché delegato nazionale C.S.E.N. (Centro Sportivo Educativo Nazionale) per la scherma nella regione Emilia Romagna.
Tra il 2010 e il 2012 scrive e mette in scena, come regista della compagnia teatrale “U.N.F.”, da lui fondata, gli spettacoli “Operazione Hipparion”, “La bestiale storia di Viskovitz” e “Inferi s.p.a.”, sue prime avventure dietro i tasti letterati, premiate con buone critiche e affatto malvagi botteghini. Negli stessi anni, scrive i “Quaderni di combattimento”, una dispensa tecnica per i praticanti la scherma storica, pubblicata indipendentemente.

Tra il 2012 e il 2017 scrive diversi soggetti e sceneggiature per documentari e cortometraggi, alcuni premiati anche a livello internazionale come “50 ASA”, scritto a quattro mani con Amerigo Porcu, e “Majores Milites”.
Nel 2015 l’esordio in libreria con il saggio storico-schermistico “Gladiatoria”, una traduzione e analisi tecnica di un manuale per duellanti: Ms. Germ. Quart. 16, in lingua pregermanica della prima metà del 1400, edito da Gilgamesh Edizioni. Prima opera la mondo trattante il manoscritto tedesco ad essere pubblicata.
Ora fuori catalogo e ripubblicato indipendentemente in una versione ampliata e rivista in merito alle nuove scoperte oplologiche e tecniche, viene resa di nuovo disponibile nel marzo 2020, sui canali online di Amazon KDP, sia in versione digitale, sia cartacea; entrambe totalmente a colori e contenenti la copia anastatica dell’intero manoscritto.
Con “Jean”, suo romanzo d’esordio pubblicato nel gennaio 2019 con Apollo Edizioni, si classifica finalista al premio letterario nazionale “La Penna Perfetta”; portandoci nella Francia e sui campi di guerra napoleonici.
Nell’aprile 2020 pubblica con Lupi Editore “La ragazza della musica” già finalista al premio nazionale “Felix”, un libro al momento solo digitale, ma in una veste narrativa diversa dal solito, sotto forma di coloratissimo diario di una adolescente anaffettiva.

“Le rune di Leif” si classifica finalista al premio internazionale “Autori Italiani” mentre l’inedito noir “Una strana settimana” è finalista alla terza edizione del premio “Un giallo x 1000”.
A oggi affianca l’insegnamento e lo studio della scherma, tramite lezioni in sala, seminari e conferenze, con il suo lavoro video-fotografico e batte sui tasti per altri lavori filmici e teatrali, romanzi, articoli, reportage e recensioni per diversi blog, riviste cartacee e online e infine fornisce consulenza schermistica per diversi autori di narrativa e saggistica, nonché drammaturghi, sceneggiatori e registi, curando anche la preparazione tecnica degli attori.

E dopo questa ricca presentazione, andiamo alle domande.
Partiamo dal principio. Si dice che uno scrittore debba essere innanzitutto un lettore. Carlo Cavazzuti che lettore è?

Sono un lettore vario e vorace, ho una media che va dai quaranta ai cento libri letti all’anno, purtroppo per questioni di spazio domestico non tutti cartacei.
Leggo quasi ogni cosa solletichi il mio interesse tranne gli “Strappa Corsetti” che proprio non riesco ad affrontare.
Per lo più affronto narrativa storica, fantascientifica e horror, ma anche moltissime cose scritte secoli e secoli fa. Nelle ricerche che compio per scrivere i miei libri mi imbatto spesso in opere medioevali o rinascimentali e se riesco a procurarmele le leggo di gran gusto, tanto quanto le cronache dei vecchi storici. Per un inedito lessi quasi tutto Marin Sanudo e le cronache del Guicciardini, ora sto leggendo un poema fatto scrivere per elogiare la vita di William Marshal, il cavaliere perfetto.
Queste sono le letture che preferisco: storiche, ma non scritte ai giorni odierni, bensì da chi lì c’era e a quei tempi ha vissuto.
In summa, se la trama mi affascina non ho un genere preferito né un autore preferito.

Ha sempre amato la storia fin da piccolo o è una scoperta successiva?

Non l’ho amata immediatamente, ma penso che nessun bambino ami studiare cose passate che per lui sono prive di attinenza con la realtà. Se poi maestri e professori non riescono a condividere la passione per quello che insegnano limitandosi alla mera cronaca… I miei genitori prima, due professoresse poi, una delle scuole medie e l’altra alle superiori, mi hanno avvicinato sempre più alla Storia. Avevo già prima degli interessi rivolti soprattutto al medioevo, alle civiltà norrene e all’epoca napoleonica, ma iniziai ad approfondire in ambito extrascolastico solo a metà delle scuole medie.
Sono ormai più di dieci anni che non mi decido se iscrivermi all’università per una laurea in storia, ma ogni volta penso che gran parte di quello che andrei a studiare non è nella mia sfera di interesse e desisto buttandomi sulla saggistica. Ma magari tra qualche anno cambierò idea. Per il momento mi basta collaborare con alcuni noti professori per soddisfare le mie curiosità.

La sua produzione letteraria è abbastanza variegata, non solo romanzi storici. A quale genere si sente più affine?

Non lascio importanza al genere. Se non scrivo un testo tecnico, per cui ci sono regole ben precise, lascio che sia la storia a scegliere. Ho in mente qualcosa che varrebbe la pena raccontare e lo scrivo per come mi pare più adeguato.
C’è da dire che il romanzo storico è comunque più nella mia penna rispetto ad altri generi, questo è certo, ma, se unisco la produzione letteraria per la carta stampata con quella per la macchina da presa o per il tavolato del teatro, ho scritto su quasi ogni genere. Mi manca l’horror, fantascienza e erotici.
Come appena affermato, è la storia che mi porta il genere e lo stile in cui lo scrivo.
Ho prodotto opere in terza persona con narratore onnisciente tanto quanto quelle in prima persona al presente, quelle con più punti di vista come quelle in “soggettiva”; alcune nel passato, altre nel presente e altre ancora in un tempo indefinito che potrebbe essere passato, presente e futuro contemporaneamente.

Parliamo della sua ultima pubblicazione “Le rune di Leif” per Saga Edizioni. Il libro viene catalogato come un epic fantasy, ma ha al suo interno molta più Storia di quanto ci si possa immaginare di primo acchito. Quando si affrontano i popoli nordici, Storia, mito e leggende si confondono.

Sì e no. La piccola Storia, quella dei sussidiari e di certe basse produzioni documentaristiche, mischia molto le cose. La Grande Storia, quella dei saggi scritti da professionisti, quella degli archeologi e dei musei non lo fa.
Il libro è stato classificato così perché non è propriamente un romanzo storico, quanto un romanzo ad ambientazione storica. I protagonisti sono personaggi nati solo su quelle pagine, ma si muovono in un ambiente ricostruito per come la storia ce lo riporta, incontrano personaggi realmente esistiti in quei luoghi e in quegli anni. Ho addirittura utilizzato la grafia norrena per i toponimi e i nomi dei personaggi, proprio per un’immersione maggiore.

Il grande pubblico ha una concezione molto errata su quello che fossero le popolazioni del grande nord. Basti pensare che molti sono convinti avessero davvero gli elmi con le corna!
In realtà erano popoli con una concezione religiosa molto profonda
che ha dato vita a una produzione letteraria e poetica davvero varia. Tante sono le saghe, specialmente islandesi, e altrettanti sono gli scritti mitologici che sono arrivati sino ai nostri giorni.
Da essi si evince una cultura ricchissima con conoscenze in campo ingegneristico, geografico, legale e bellico non indifferenti e a volte superiori ai più conosciuti popoli europei.
La cultura, per quanto cruda sia realmente stata, vedeva degli exploit di modernità unici.

Nel medesimo periodo, in Europa, la donna era in una situazione sociale drammatica mentre tra i popoli del nord aveva accesso a ogni carica politica e religiosa, era indipendente dalla famiglia, poteva avere accesso al divorzio, amministrare beni personali. Vi sono state donne ministro, jarl (l’equivalente del regolo bizantino), ambasciatrici. Nel resto del mondo la prima donna ambasciatrice nasce negli anni settanta del 1800.
Probabilmente questa commistione avviene un poco perché furono davvero un popolo ricco di miti e racconti e un poco perché quello che ci giunge dalle cronache coeve è stato per lo più scritto da cristiani soggetti alle loro razzie e alle conquiste, per forza di cosa li descrivevano come diavoli incarnati.

A quale genere di lettori è destinato questo libro e che cosa devono aspettarsi da questo testo?

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Non ho pensato a nessun lettore in particolare, direi che possa essere godibile dagli adolescenti come dai più maturi. Se sono interessati alla storia nordica troveranno una ricostruzione più accurata possibile della vita di un norreno vissuto intorno all’anno 1000. Mi sono dedicato al massimo a ricercare e poi a riproporre gli usi reali di quei popoli, i loro abiti, le loro abitudini, le armi, la mitologia e la poesia.
Volevo ricreare uno spaccato il più realistico possibile.
Altresì non volevo fosse un bignami di storia e mitologia norrena e ho costruito la storia secondo le linee delle antiche saghe:
un racconto orale, solo con l cristianizzazione vennero trascritte, per tramandare i valori di un uomo o una donna importante.
Come in ogni saga che si rispetti sono presenti le faide famigliari, le battaglie, i viaggi per mare, gli amori, gli intrighi e gli dèi.
Ho tentato, ai lettori il giudizio se vi sia riuscito o meno, di riprodurre un racconto epico per come lo avrebbe fatto un norreno. Copiando le prime edizioni manoscritte delle saghe ho anche fatto illustrare la storia per come essi facevano.

Qual è la parte più difficile da ricostruire quando si affronta un romanzo come “Le rune di Leif”?

Come per tutti i romanzi storici o ad ambientazione storica direi il reperimento delle fonti di studio.
Non parlo dei trattati e dei saggi storici moderni che in una libreria o in biblioteca si trovano senza troppa fatica, ma delle fonti dirette.
Personalmente passo sempre diversi mesi di studio e ricerca prima di affrontare anche solo la prima riga del libro e lo faccio documentandomi, quanto più possibile, sulle fonti coeve al periodo che vado a narrare.
Vado nei musei e chiedo di poter visionare i pezzi fuori dalle teche, vado negli archivi storici a leggere i manoscritti e le cronache, se mi è possibile viaggio negli stessi luoghi dove ambienterò la storia. Questa è la parte più lunga e difficile, per quanto sia quella che mi piace di più!
Sono dell’idea che si possa scrivere solo di ciò che ben si conosce e lo studio approfondito diventa, quindi, indispensabile.
Altresì sono per il metodo Stanislavskij, sia per gli attori che per gli autori. Vivere il proprio personaggio al massimo. Per Le rune di Leif ho letteralmente vestito i panni del norreno, le armature, impugnato le ami, mangiato il loro cibo. Tutti gli scontri descritti nel romanzo sono stati provati in sala d’armi con quello che avrebbero avuto in mano e indosso i personaggi. Sono andato a ricercare le saghe norvegesi, danesi e islandesi, ho riletto l’Edda poetica e quella in prosa, sono andato a riprendere le cronache dei monaci che assistettero agli ultimi sacrifici umani a Uppsala, quelle che descrivevano le ultime città vichinghe in Inghilterra, Irlanda e Islanda. Per scrivere tre battute in lingua Tuniit sono andato riprendere l’unico dizionario di Inuit mai prodotto e farlo tradurre dal danese. Non ho potuto mettermi in mare su una knarr perché quelle che sono state ricostruite sono pochissime ed è praticamente impossibile riuscire a imbarcarsi come “turisti”.
Per Jean, mio altro romanzo storico, questa volta ambientato nell’epoca napoleonica, ho fatto lo stesso percorso di immersione.

Divagando dall’attività di scrittore ma rimanendo in tema Storia, nella sua biografia leggiamo che è maestro e arbitro internazionale di Scherma storica. Come è nata questa passione e cosa può dirci in merito a questa disciplina? Quali sono le differenze con la disciplina classica che conosciamo?

Come farmi diventare prolisso più di quanto già non sia!
Io iniziai a tirare di scherma olimpica che ero alle elementari e non smisi più. Ho dedicato la mia vita alla scherma in oltre trent’anni di studio e pratica.
Con l’avanzare dell’età e alcuni problemi fisici ho lasciato il campo gara da atleta per stare sul bordo come maestro o arbitro. Iniziai con il fioretto e la sciabola per passare, alla fine degli anni novanta, alla neonata scherma storica. Non che prima non esistesse, ma non era praticata in Italia.
Le convenzioni della scherma olimpica mi andavano strette e provai queste nuove discipline che mi presero parecchio. Poi a tutt’oggi non disdegno un assalto elettrificato di fioretto o sciabola, ma sento più miei i loro avi.
La scherma è un’unica arte, si differenzia solo nelle armi e nel regolamento delle gare che l’hanno fatta mutare da disciplina marziale a sport.
La scherma storica altro non è che la nonna di quella moderna che si può vedere, raramente, in televisione.
È la scherma di quando la si studiava per ammazzarsi e non per fare un punto.

È più dura, più intensa, più pericolosa, ma indubbiamente più vera, ma sempre la stessa arte.
I movimenti e le tecniche degli schermidori olimpionici altro non sono che derivazioni di movimenti e tecniche più antichi che risalgono sino al XIII secolo. Si può tracciare una linea di discendenza quasi ininterrotta dal medioevo ad oggi.
Le armi offensive e difensive cambiano nei secoli e cambia il modo di usarle, ma se guardiamo il primo trattato di scherma scritto in Italia, nella mia Modena, agli inizi del 1400, troviamo analogie e derivanze con alcune posizioni e azioni moderne. Le basi concettuali sono poi sempre le stesse: difendersi e colpire senza essere colpiti.
Nella scherma olimpionica le armi sono solo fioretto, spada e sciabola, ma in quella storica sono molte di più: spada a due mani, spada a una mano, spada da lato (periodo rinascimentale), striscia (spada tipica del periodo barocco), spada e pugnale, spada associata a diversi tipi di scudo, daga, lancia, azza (un immenso martello inastato), sciabola da terreno, messer (un coltellaccio in stile tedesco), il langhenshield (uno scudo molto grande e puntuto che si usava a due mani sia per difendersi che per colpire) e molte altre ancora, sia a piedi che a cavallo. C’è persino un trattato di scherma in cui appaiono le falci per tagliare l’erba il battigrano.
Per ognuna di queste ci sono fonti storiche redatte dai vecchi maestri di scherma che scrivevano trattati per i loro studenti.

Noi schermidori storici, per lo meno chi la studia seriamente e non la pratica solo per attività fisica ricreativa, stiamo più tempo sui libri che in sala d’armi. Si studia direttamente sui trattati originali, li si traduce, li si analizza e li si mette in pratica con l’interpretazione migliore che si possa dare per poi preparare gli atleti alle competizioni.

Esse si svolgono su due circuiti internazionali principali: l’HEMA (Historical European Martial Arts), che vede gli atleti competere con tecniche e armi storiche, ma protezioni moderne molto simili, o le stesse, alle giacche e alle maschere della scherma olimpionica; poi c’è l’HMB/C (Historical Medieval Combat/Battle) dove invece si ci scontra vestiti delle medesime armature in acciaio che si utilizzavano nel medioevo. Per queste competizioni, oltre a degli standard di sicurezza è anche richiesto un riscontro storico di ogni capo di armatura e arma indossati e impugnati. In questo circuito le gare a squadre diventano davvero piccole battaglie di cinque contro cinque o addirittura ventuno contro venuto dove l’obbiettivo è atterrare ogni componente della squadra avversaria.
Per entrambi i circuiti vi sono gare a ogni livello, dai regionali ai mondiali.
Io principalmente studio la scherma in armatura dal XIV al XVI secolo, in merito ho prodotto mia prima pubblicazione che è stata la mondo la prima trascrizione, traduzione e analisi di un manoscritto tedesco del 1436 con argomento le tecniche da utilizzarsi in un duello giudiziario in armatura, ma oramai, dopo trentatré anni, posso dire di aver praticato quasi ogni disciplina schermistica equestre e pedestre, anche se non per tutte con buoni risultati.

E anche questa interessante intervista è giunta al termine. Ringraziamo Carlo Cavazzuti per essere stato con noi e a ai nostri lettori diamo appuntamento alla prossima intervista!

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