A cura di Manuela MoschinPaolo Caliari detto il Veronese (1528-1588) “Il Trionfo di Venezia” un dipinto fastoso e scenografico situato nella Sala del Maggior Consiglio.
Racconta l’autore Marco De Luca (cap. XVII – pag. 166):
“…non era la prima volta che Venezia puniva i suoi figli tra quelle mura. Pensò alla sala del Maggior Consiglio, a Marin Faliero, a quel drappo nero: ma lui non aveva tradito nessuno, tutto quello che faceva, nel bene e nel male, lo faceva per la gloria della sua Venezia…”
Tra i numerosi dipinti presenti nel Palazzo Ducale, in questo articolo vi parlerò di un capolavoro di Paolo Caliari, nato a Verona nel 1528, figlio di uno scalpellino, quando si trasferì a Venezia nel 1553, fu soprannominato il Veronese.
Il Palazzo Ducale è costituito da numerose e bellissime sale dette “Sale Istituzionali” frequentate dai membri del Maggior Consiglio. La sala più importante, simbolo del potere politico della Serenissima, è rappresentata dalla grande Sala del Maggior Consiglio, dove si legiferava e si riuniva il patriziato; essa misura 53 metri di lunghezza e 25 metri di larghezza e può contenere sino a millecinquecento astanti (si consideri che, indicativamente, l’area corrisponde a cinque campi da tennis).
La Sala del Maggior Consiglio è interamente decorata da dipinti dei più noti artisti dell’epoca: Paolo Veronese, Tintoretto, Jacopo Palma il Giovane, Francesco Bassano, Andrea Vicentino e Gerolamo Gambarato.
Durante la notte del 20 dicembre 1577, un secondo incendio distrusse la Sala del Maggior Consiglio e quella dello Scrutinio. Nella nuova decorazione fu commissionato a Paolo Veronese un dipinto molto importante per il suo significato, il grande telero di forma ovale (olio su tela – cm 904×580) raffigurante “Il Trionfo di Venezia” (1582). Tra i molteplici dipinti, presenti nella sala, quello del Veronese si adatta maggiormente alle cornici di gusto manieristico che decorano l’ambiente. Il pittore, infatti, ha creato una grande architettura con cornicioni e terrazze sostenute da enormi colonne tortili che, congiuntamente alle cornici lignee, creano un’immagine illusiva veramente armoniosa.
Venezia è raffigurata posata su una nuvola, sta per essere incoronata attorniata dalle divinità Pace, Felicità e Onore, le quali simboleggiano il potere economico e politico della Serenissima. Sulla balconata eleganti dame, nobiluomini e prelati si affacciano incuriositi. In basso invece è situato il popolo sorvegliato da guerrieri. Il cielo inondato da una luce mattutina molto nitida, ricorda l’atmosfera presente dopo un temporale; il colore steso a larghe campiture e l’accostamento di più tinte favoriscono un luminoso cromatismo donando al dipinto un effetto gioioso. La prospettiva molto scorciata proviene dalla tradizione disegnativa del Mantegna, mentre la scena che appare come uno spettacolo è una particolarità derivante dalla pittura del Tintoretto.
“La Porta della Carta” l’ingresso monumentale situato tra il Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco.
Racconta l’autore Marco De Luca (cap. XXIII – pag. 233 ):
“…la porta che varcarono era alta e stretta, incastrata tra il resto del Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco. Si chiamava Porta della Carta perché era lì che veniva posizionato ogni giorno il banco con lo scrivano a disposizione di chi aveva la necessità di scrivere una lettera o redigere un contratto…”
La Porta della Carta, antico ingresso del Palazzo Ducale, è un capolavoro tardogotico iniziato nel 1439 e terminato nel 1442, dotato di un ricchissimo apparato decorativo a marmi intagliati.
Sotto l’ornata trifora è stato rappresentato il doge Francesco Foscari inginocchiato davanti al Leone alato, simbolo di San Marco. Da un’antica tradizione, infatti, si racconta che, un angelo in forma di leone alato si sarebbe rivolto a San Marco dicendo “Pax tibi Marce, evangelista meus. Hic requiescet corpus tuum” (Pace a te Marco, mio evangelista. Qui riposerà il tuo corpo).
I progettisti e i costruttori della Porta furono Giovanni Bon e il figlio Bartolomeo, poiché Giovanni Bon morì prima del completamento dell’opera, fu il figlio Giovanni che la terminò, pertanto solo il suo nome “Opus Bartholomei” è inciso sull’architrave originale che si trova all’interno del Palazzo Ducale.
La Porta è arricchita da una serie di sculture, sopra il portale si trova la statua della Giustizia eseguita da Giovanni Bartolomeo il suo volto possiede un espressione mite in segno di giudice benevolo.
Il ritratto del doge Foscari è caratterizzato da un forte realismo, le rughe profonde, la carne floscia evidenziano l’età avanzata del personaggio e nell’espressione del viso traspare l’energia della sua capacità governativa.
Nelle nicchie si trovano le virtù che un governo dovrebbe possedere per condurre uno stato:
la Temperanza, la Fortezza, la Prudenza e la Carità. L’ipotesi è che siano state probabilmente eseguite da Bartolomeo Bon, Antonio Bregno, Giorgio da Sebenico e Nicolò Fiorentino.
La Temperanza, la virtù della pratica della moderazione sta versando da una brocca l’acqua nel vino, lo sguardo attento, il suo modo di agire e la disposizione delle vesti trasmettono all’osservatore un senso di calma e beatitudine.
La Fortezza, la virtù che protegge dalle difficoltà, sta impugnando la spada pronta per agire in caso di aggressione, malgrado rappresenti la forza non manifesta atteggiamenti minacciosi.
La Carità, la virtù per la quale l’uomo ama Dio e il suo prossimo, ricorda nelle pieghe delle vesti i modelli antichi.
La Prudenza, detta auriga virtutum (cocchiere delle virtù), dirige le altre virtù indicando la regola e la misura, virtù della saggezza è caratterizzata da un gusto gotico internazionale, il quale nascendo dagli ambienti di corte forma un’arte medievale laica.
Piccola curiosità non tutti sanno che…
Giuseppe Cherubini (Ancona, 1867- Venezia, 1960), un pittore attivo a Venezia, prese parte alla VI Biennale della città nel 1905, con l’acquerello raffigurante la Porta della Carta denominato “Magna Domus, Magna Queis” unitamente ad artisti quali Giovanni Boldini, Luigi Bompard e Gaetano Previati. E’ interessante sapere che l’opera del Cherubini fu acquistata dal Re d’Italia Vittorio Emanuele III. Il segretario della Biennale, Antonio Fradeletto, annunciò all’artista in una lettera: “Egregio Signor Cherubini, sono lieto di poterla informare che S.M. il Re ha voluto designare per l’acquisto il suo quadro Magna domus, magna queis. In seguito a quanto Ella ebbe a dirmi mi sono creduto autorizzato di accettare la riduzione del prezzo a £ 1000. Cordiali saluti – A. Fradeletto”. (cit. da Distefano G.; Pietragnoli L.)
Recensione a cura di Maria Marques Una donna anziana, una donna circonfusa di sacralità, raccoglie i fili di un’esistenza, raccontando al figlio avvenimenti di cui è stata protagonista in gioventù, vivendo il momento drammatico e cruento dello scontro inevitabile tra cristianesimo e paganesimo. “ Chi sono? Non ha importanza. Solo una donna dai lineamenti rugosi, […]
Il filo conduttore del romanzo ruota intorno ai fondamenti giuridici su cui poggia la Federal Reserve Bank e sulla sete di potere di uomini disposti a tutto pur di dissetare la loro arsura. Le ambientazioni temporali variano e mentre con un salto temporale osserviamo i Padri Fondatori riunirsi per decidere il destino della nazione e salvare il paese da una probabile crisi economica, l’agente dell’MI6 Ethan Davila è impegnato in una missione apparentemente innocua e di facile risoluzione.
L’autrice muove con disinvoltura i suoi personaggi nel variegato scenario di una Sicilia che conosce come le sue tasche, non solo nei suoi spazi più familiari…
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